Un vento poliglotta

Questa è una miniantologia di testi “con la bora dentro”. Piccole perle di scrittori di epoche e di origini diverse che hanno dedicato anche solo poche righe al gagliardo vento di greco-levante. Non sempre amandolo… Naturalmente, per una esplorazione più completa, rimandiamo al Magazzino dei Venti. E al futuro museo.

IN DIALETTO
“Un refolo de bora”
di Guido Sambo
(da “Un poco fora man”, 1967)

Xe capitado un rèfolo de bora
che dispicado ga la biancaria
zo de le corde, sbatù ga i scuri
e le finestre, che netà ga ‘l ciel
smacando via i nuvoli, s’ciarindo
fina l’anima drento de la gente.

 

IN ITALIANO
“La bora”
di Giani Stuparich
(da “Il ritorno del padre”, Einaudi, 1989)

(…) Bisogna vederla nascere. Qualche anno fa, di febbraio, ebbi l’occasione d’assistere alla sua venuta. L’aria era annebbiata e sonnolenta; dalla riva, dove mi trovavo, la città sembrava vecchia sotto un velo uniforme di stanchezza; i moli, piú che protendersi decisi nel mare, sembravano emergere fiacchi e galleggiar su di esso come degli zatteroni sul punto di sfasciarsi; la collina era grigia ed opaca.
Improvvisamente l’orlo della collina cominciò a rischiararsi; la tenda nebbiosa là sopra si sollevava, si slabbrava, mostrando una striscia di ceruleo intenso, come l’apertura d’un mondo rinnovato. Non capivo da principio; ma poi quando vidi la nebbia sopra la città addensarsi, rotolare e sparire, quando vidi il mare pulirsi e sentii fremere intorno a me l’aria, giungendomi alla pelle un piacevole frizzio e alle nari un fresco e leggero odore di sassi e di pini, allora capii che cos’era. Nasceva la bora. Si profilava sul ciglio dei colli e poi d’un balzo era giú, sulla città e sul mare. Le case acquistavano corpo, si tergevano, s’avvicinavano; i moli liberavano le loro sagome forti e squadrate dal velo tenero della nebbia; nei bacini l’acqua del mare prendeva colore e moto. Una freschezza, un ringiovanimento da per tutto. (…)

 

IN SLOVENO
“Stanotte”
di Srecko Kosovel
(estratto dal volume “Il racconto del Carso” di Carlo Genzo e Walter Zele, Agenzia Libraria Editrice, 1997)

Stanotte ascoltavamo la bora
e non abbiamo dormito niente;
di cose strane e paurose
parlavamo sottovoce.

Come ci si sente in mare
al naufragare dei navigli,
e quanto freddi e tremendi
siano i flutti marini.

Stanotte ascoltavamo la bora
e non abbiamo dormito per niente
sognavamo di poter salpare con la borea
e raggiungere altre rive.

Il freddo marino cominciò a risplendere,
– chissà dove erano ormai le navi –
noi invece siamo andati nell’orto a cogliere
sotto i peschi i meli frutti vermigli.

 

IN FRANCESE
Henry Beyle (Stendhal)
“Lettera dal 26/27 gennaio 1831”
(estratto dal volume “Il racconto del Carso” di Carlo Genzo e Walter Zele, Agenzia Libraria Editrice, 1997)

“Fa bora due volte alla settimana e cinque volte vento forte.
Dico vento forte quando si è costantemente occupati a tenere stretto il cappello e bora quando si ha paura di rompersi un braccio. Sono stato sbattuto quattro passi avanti, l’altro giorno. Un uomo assennato, l’altro anno, trovandosi alla periferia di questa piccola città, preferì pernottare alla locanda, perché non osava spingersi fino a casa. Nel 1830 ci sono state venti gambe rotte. Non esiterei a mostrare coraggio di fronte ai briganti di Catalogna; ma, signore, il vento mi dà reumatismi alle viscere.”

 

IN TEDESCO
Peter Handke
(da “La ripetizione”, Garzanti, 1990)

(…)La famigerata Burja (o Bora) che soffia dal nord.
Un unico sibilo gelido là sull’altopiano, che ti priva d’ogni profumo
e non ti fa più vedere né sentire. (…)