Nick Hunt ci ha mandato un bel messaggio!

Lo scrittore Nick Hunt, l’autore di “Dove soffiano i venti selvaggi” oggi non riesce ad essere dei nostri per l’inaugurazione del Museo della Bora temporaneo in occasione dello Science in the city festival,

ma ci ha comunque inviato un bel messaggio pieno di vento. Da guardare fino alla fine!
Se preferite, potete leggerlo qui.

“Sono venuto a Trieste per la prima volta da turista, seguendo le orme di James Joyce, Jan Morris e Casanova. Ero alla ricerca di un altro famoso visitatore che da anni frequenta la città, una celebrità locale che scende dal nord, il cui arrivo porta terrore, gioia e tutto ciò che sta nel mezzo. Non gli è sconosciuto presentarsi con poco preavviso in qualsiasi momento dell’anno, senza chiamare in anticipo o prenotare. Si chiama Bora, ma duemila anni fa i greci lo chiamavano Boreas, il dio del vento gelido del nord, e già allora era vecchio, con il ghiaccio nella barba, la neve nel respiro e una voce furiosa e ululante…
Non è un ospite facile, non il solito turista, ma una specie di hooligan. Le sue visite nel corso degli anni hanno causato danni immensi alla splendida architettura della città, ai suoi tetti, alle sue chiese, ai suoi alberi, ai suoi mezzi pubblici. Ha ferito e persino ucciso delle persone – ma viene comunque riaccolto anno dopo anno. Il vento di Bora è amato e rispettato, anche celebrato, anche se questo rispetto si tinge spesso di paura. Parlo qui ai Triestini, quindi non descriverò i tanti modi in cui questo visitatore fastidioso e non invitato ha influenzato la cultura, le arti, la letteratura, l’architettura e soprattutto la psicologia di questa città. Ma mi chiedo: quel dio dell’aria che cosa ne pensa di Trieste?
Dopotutto, è libero come il vento, potrebbe andare ovunque, eppure continua a tornare qui, in questa grande città antica circondata dal mare e dalla Slovenia, così italiana eppure così diversa da ogni altra parte d’Italia. Cos’è che lo fa tornare stagione dopo stagione, anno dopo anno, decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, in modo così prevedibile e così leale? Cos’è che continua ad attirare Bora a Trieste? È per il sapore salato del prosciutto che pende dalle finestre aperte sul Carso sloveno mentre scende di corsa dal nord? E’ per il solletico, il grattare dei pini e degli ulivi che gli strusciano il ventre mentre passa sopra di loro, spezzando i rami lungo la strada? E’ per la gioia di scendere nei viali e nelle piazze familiari di Trieste, di togliere il cappello alla gente.
Mi piace pensare che, soprattutto, sia quel senso di liberazione. La Bora è, per definizione, sotto pressione, intrappolata nell’Europa continentale, prigioniera dietro un muro di montagne. Quella pressione è aumentata e aumentata, schiacciandosi su di lei, e poi – proprio quando comincia a diventare insopportabile – riesce a infilarsi in un passo delle montagne che la accerchiava, sfrecciando attraverso l’arido altopiano carsico. Che sollievo dev’essere quello di sfondare improvvisamente la zona di bassa pressione sul mare, con soltanto le onde scintillanti davanti a sé, e niente a fermare il suo slancio.
E nelle strade familiari di Trieste, che ha visto cambiare, e altre che non sono cambiate, con il passare dei secoli, quando imperi, regimi e guerre sanguinose sono andati e venuti, i volti della gente si voltano a salutarla con sgomento, con gioia, con riconoscenza e talvolta anche con preoccupazione. Per qualche ora gloriosa, o qualche giorno glorioso, non è semplicemente aria anonima, ma il suo nome è sulla bocca di tutti – è al telegiornale, sulle previsioni del tempo, alla radio, su internet, si parla di lei nei bar, nei caffè, nelle chiese, nelle scuole, nelle caserme dei pompieri, negli ospedali – l’intera città ripete il suo nome come una specie di preghiera.
I nomi dei suoi divini fratelli e sorelle – Persefone e Pan, Diana e Dioniso, Apollo e Afrodite, persino Zeus – non vengono più citati nelle conversazioni di tutti i giorni. Gli antichi dei sono stati relegati alla mitologia, alla fiaba e al mondo accademico. Ma i triestini non hanno dimenticato il nome di Borea – non potrebbero dimenticare la Bora neanche volendo – ed è per questo che il dio del freddo vento del nord continua a tornare.”

Nick Hunt, agosto 2020